Al principio fu la tisi
Le prime visite di leva del neonato Stato unitario italiano offrono una percentuale di riformati oscillanti tra il 22 e il 24%. Malattie polmonari, pellagra, deficienza toracica, gozzo, cretinismo, difetti di statura restituiscono un ritratto di un'Italia malata che è dunque da rigenerare. È in questo contesto che la medicina scopre la proprietà curative del mare. E attorno alla metà dell'Ottocento che Giuseppe Barellai inizia a propagare l'idea degli ospizi come luoghi di cura per i bambini scrofolosi, una infezione tubercolare che colpisce prevalentemente i bambini malnutriti e in cattive condizioni igieniche. Nel 1856 Barellai da avvio al primo Ospizio marino a Viareggio, che nei successivi 10 anni ospitò un migliaio di bambini. Seguirono molte iniziative sulle coste della Liguria e successivamente sulle spiagge dell'Emilia Romagna vengono costruiti edifici di notevoli dimensioni, sostenuti dalla filantropia privata o dalle amministrazioni comunali: nel 1885 sono 17 gli ospizi marini e all'inizio del 900 sono circa 50 gli ospizi su tutto il territorio nazionale e decine di migliaia i bambini curati. Negli ultimi decenni dell’800 fanno la loro comparsa le prime colonie alpine e marittime, che a differenza degli ospizi non sono rivolte ai bambini ammalati ma a quelli gracili e poveri. La prima colonia vacanza è quella del 1876 del zurighese Hermann Walter Bion e da quel momento l’idea si diffonde in tutta Europa (in Italia nel 1881 ad Esino Superiore, oggi in provincia di Lecco): nel 1888 si svolse a Zurigo il primo congresso internazionale delle colonie vacanza. Mentre la villeggiatura al mare delle classi nobili e borghesi si svolge negli alberghi e nei villini delle zone centrali di Viareggio, a Rimini o Loano, gli ospizi, e più tardi le colonie vengono costruiti in zone periferiche in modo che la loro presenza non arrechi disturbo e non intralci il nascente turismo balneare. E questa distanza fisica e sociale che accompagna le origini del turismo viene replicata in tutti i piani urbanistici delle località balneari che ospitano le colonie. In generale furono quattro le tipologie di colonie: 1) colonie temporanee o estive marine o montane; 2) colonie permanenti, dette anche preventori, e aperte tutto l’anno; 3) colonie diurne; 4) scuole all’aperto, in zone climatiche adeguate. Noi abbiamo adottata la definizione che ne ha fatto Sergio Neri, per il quale La colonia è un’istituzione residenziale per minori realizzata per un periodo limitato e dotata di una sede e di attrezzature proprie, collocata in una località diversa da quella di dimora abituale degli ospiti, che vi trascorrono un periodo prestabilito, chiamato turno.
La funzione “educativa” del fascismo
Nel 1919 l’organizzazione delle Colonie estive ottenne il riconoscimento giuridico di Ente morale. A partire dagli anni 20 del ‘900 si apre una nuova fase dove la funzione curativa è sostituita da quella educativa. La Colonia diviene il prolungamento estivo della scuola invernale, anzi uno dei luoghi privilegiati dell'educazione nei quali vengono trasmessi ai giovani ospiti i cardini dell'ideologia fascista. I bambini assistiti dalle organizzazioni del regime fascista aumentano da circa 80.000 del 1927 ai 772.000 del 1938. Uno sviluppo enorme al quale vanno aggiunti 12.190 bambini ospitati nel 1937 nelle strutture gestite dalle grandi industrie. Nel 1942 il regime dichiara l'apertura di 5805 insediamenti coloniali per 946.115 bambini. Il regime fascista si impegna soprattutto nella costruzione degli edifici destinati ad accogliere i fanciulli in età compresa tra i 6 e i 13 anni, per periodi che solitamente si prolungano fino ad un mese. Ed è a partire dalla metà degli anni '20 che la realtà delle colonne viene direttamente controllata dal Partito nazionale fascista: tra il 1926 e il 1928 la gestione delle colonie passa all'Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e l'Infanzia (ONMI), fino a passare nel 1938 sotto il controllo della Gioventù Italiana del Littorio (GIL). La vita in Colonia è uniformata agli stessi ritmi per tutti i piccoli ospiti. Termina a metà degli anni '20 l'esperimento varato dal Soccorso ROSSO che organizza una colonia che ospita una trentina di figli di perseguitati antifascisti, o gli orfani dei caduti a causa delle violenze. Mai in precedenza, come durante gli anni Venti e Trenta una massa così ingente di bambini tra i 6 e i 12 anni si era spostata dalle case dei genitori per trascorrere la vacanza. Mentre severe leggi e prescrizioni in Inghilterra e Francia contribuiscono a conferire agli edifici, soprattutto a quelli a carattere pubblico, una impronta uniforme, in Italia la mancanza di vincoli consente ai progettisti di scatenare la fantasia e di renderle colonie un punto di osservazione molto particolare. Gli edifici acquisiscono una monumentalità di forme e di dimensioni in grado di stupire e di lasciare l'impressione che il regime si prende cura dell'infanzia in maniera non banale. Nell'immaginario degli italiani le colonie finiscono per porsi accanto a quelle cose buone che ha fatto il fascismo, anche se come detto il fenomeno parte molto prima. Il mito dell'efficienza della modernità del regime si basa anche sulla rapidità della loro costruzione: ad esempio in soli 9 mesi viene realizzata la Colonia le Navi di Cattolica. La costruzione avveniristica di Cesenatico, intitolata A Sandro Italico Mussolini, nipote del Duce, iniziata nell'agosto del 1937, nel luglio dell'anno seguente la struttura è già in grado di ospitare 300 bambini.
Il dopoguerra e le organizzazioni cattoliche
La guerra e i bombardamenti lasciano il segno anche sulla realtà delle colonie. Molte quelle danneggiate o distrutte, in numero ancora maggiore quelle trasformati in luoghi di prigionia dell'esercito tedesco sconfitto o in ospedali militari. Parecchie, infine quelle trasformate in campi per i profughi o per quanti avevano avuto le case distrutte o danneggiate. In una situazione così disastrata e destinata a durare per anni l'assistenza all'infanzia diventa uno dei compiti primari dell'associazionismo religioso e laico. L’Unione donne italiane promuove già a partire dal 1945 i “treni della felicità”, ma la concorrenza del mondo cattolico marginalizza l'esperienza dell'educazione laica. È la Pontificia Commissione d'assistenza, creata nel 1944 alle dirette dipendenze del Vaticano, ad assumere l'eredità del patrimonio gestito negli anni '30 dagli organi del regime. Fin dal 1946 l'organismo Vaticano riesce a organizzare 995 colonie per 256.000 bambini e alla metà degli anni '50, allorché i fanciulli assistiti ammontano a 1.800.000, circa la metà risulta gestita da enti e associazioni religiose. I promotori della nuova stagione post-bellica sostengono che ai fini dell’assistenza non avevano giovato nel passato la grandiosità dei locali, lo splendore dei marmi decorativi e tutto ciò che aveva atteso a dare l'idea del fasto piuttosto che quello della praticità. Nel tratto di spiaggia tra Ravenna e Cattolica, il sito più alta densità di colonie in tutto il territorio nazionale i censimenti rivelano che su come su 247 complessi ancora esistenti negli anni 80 del 900 l'1,2% viene costruito prima del 1915, il 14,6% tra il mio 1915 e il mio 1945 e l'84,2% nel dopoguerra. Il massimo sforzo finalizzato all'assistenza dell'infanzia attraverso le colonie si produce nel secondo dopoguerra.
Il boom edilizio, la speculazione e l’abbandono
Nel 1959 le colonie con pernottamento erano 2519 per un totale di 729.037 ospiti e nel 1968 le strutture sono 2169 con 609.621 bambini. Alla fine degli anni ’60 questi numeri e una riflessione sulla rimodulazione degli spazi e dei tempi portano alla nascita del “soggiorno di vacanza” nelle Case vacanza. C’è da aggiungere che le colonie anticipano quella povertà formale che caratterizza l'architettura ricettiva delle prime strutture del turismo di massa. Le ferie riuniscono la famiglia e i figli si recano al mare e in montagna assieme ai genitori, relegando progressivamente in soffitta il soggiorno estivo in colonia. In questa mutazione sociale ed economica, le colonie diventano preda ambita di una speculazione edilizia senza precedenti in trasformazione in alberghi, o, anche se è molto più raro che alberghi di prestigio si trasformino in colonia. Tra i piani di riutilizzo degli edifici che ospitavano le colonie, fra i più virtuosi sono quelli che hanno previsto la loro trasformazione in strutture scolastiche. Ma la maggior parte degli edifici un tempo adibiti a colonia sono in stato di abbandono e le rovine emergono qua e là nel paesaggio come reperti di archeologia balneare: si calcola in oltre due milioni di metri cubi il volume delle ex colonie disseminate lungo le coste italiane o sparpagliate fra le Alpi e gli Appennini, che nel periodo estivo hanno ospitato per oltre un secolo milioni di bambini e bambine. Se gli edifici costruiti negli anni 30 sono stati inseriti nei piani urbanistici, fra le testimonianze più singolare dell'architettura contemporanea, gli agglomerati delle colonie edificate nel '50 e '60 sono in rovina, con infissi e porte divelte.
Testo tratto da
STEFANO PIVATO, 2023, Andare per colonie estive, Il Mulino.
SERGIO NERI, 1966-67, Le colonie in Italia ed in Francia e l’azione dei C.E.M.E.A. per la formazione del personale educativo e per il loro rinnovamento, tesi di laurea Università di Bologna.
LUCA ANDREA ALESSANDRO COMERIO, 2018-19, Le colonie di vacanza italiane nel periodo 1968-1990: una pedagogia in transizione tra spinte attivistiche ed eredità del passato, tesi di laurea Università di Milano-Bicocca.