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La pece

La testimonianza di Ezio Corsetti

Ezio Corsetti, classe 1935 di Tiarno di Sopra, è stato l’ultimo pegolòt della Valle di Ledro. Lo abbiamo incontrato per avere la preziosa testimonianza di chi, per lungo tempo, ha fatto del mestiere di pegolòt una scelta di vita, di lavoro e di passione. Ezio imparò il lavoro dalla madre che a sua volta aveva lavorato con il nonno, anche lui pegolòt: mio papà dice Ezio, era venuto dalla Val Vestino e quando si è sposato, mia mamma ha insegnato anche a lui come si faceva la pece; nei primi anni Trenta, quando ancora bambino cominciava a lavorare al cargàl, in valle di Ledro i peciaioli si contavano sulle dita di una mano: i tempi in cui la pece prodotta in valle finiva nell’Arsenale Veneziano erano da tempo passati ed allora la produzione serviva a soddisfare le esigenze dei calzolai che la utilizzavano per impermeabilizzare le scarpe. Fino agli anni ‘30 c’erano altri peciaioli, ma poi sono tutti emigrati in America e la mia famiglia è rimasta l’ultima ad svolgere questa attività. Chiediamo ad Ezio di raccontarci come si svolgevano le sue giornate nei circa trent’anni nei quali ha fatto la pece a Tiarno di Sopra e il modo in cui ce lo racconta è la rappresentazione più efficace della passione, ma anche della fatica e dell’abnegazione dedicata al lavoro. Per fare un cotta ci voleva anche un mese e mezzo di lavoro; bisognava innanzitutto andare per boschi a cercare le ceppaie di pino silvestre, non altri tipo di legno, e mica pino silvestre qualunque, ma ceppaie rimaste a marcire per almeno venti anni in modo che rimanesse il cuore, la tìa. A quel punto dovevo portarle al cargàl per farla seccare: accendevo il fuoco sotto la tettoia, stando sempre attento a non alimentarlo troppo, altrimenti poteva bruciare tutto. Quello di cercare, estirpare e portare le ciocche e le radici su alla Costa era la parte più dura, si doveva camminare a lungo curvi sotto il peso delle ceppaie e salire su fino al pegolòt; la ricerca a volte durava più del previsto, dovendosi recare anche piuttosto lontano, facendo i conti anche con pioggia, freddo e neve. Talvolta, quando per esempio ci si procurava le ceppaie in val dei Molini, che era ricca di pini, si faceva la strada su un carro trainato da un asino, ma il tratto finale andava sempre affrontato a piedi. Le fasi successive, pulitura, essicazione, cotta, bollitura e filtraggio erano certamente meno faticose, ma anch’esse richiedevano tempo e pazienza ed erano altrettanto importanti. Il grande forno di argilla a doppia camera in cui la tìa veniva cotta per almeno 30 ore l’aveva costruito Romualdo Merli, mio nonno dice Ezio, e non fu mai cambiato: aveva decine e decine di anni, lo aggiustavamo ogni volta che si formava una crepa e facevamo tutta la manutenzione necessaria dopo ogni cotta, con cura, perché quello era l’unico forno e costruirne un altro uguale sarebbe stato praticamente impossibile e senza… la pece non si può fare. Ezio ricorda che stava a fogar tutta la notte, e in quelle occasioni, specie se il tempo e la temperatura lo consentivano, il forno diventava un luogo dove tutta la famiglia si riuniva dandosi insieme una mano nel lavoro. Dopo la cotta Ezio bolliva la pece nel paiolo, diventava più densa e l’acqua residua veniva così eliminata: il prodotto ormai pronto, veniva versato in stampi di cartone da un etto che venivano prodotti dagli Artigianelli di Trento; ce ne volevano parecchie centinaia dal momento che da una cotta si potevano ricavare fino a 60 chilogrammi di pece nera. Il pegolòt de la Costa ha continuato a fumare fino al 1958, dopo di che non fu più possibile per Ezio e la sua famiglia reggere il confronto con la diffusione del catrame lavorato con le moderne tecniche, e così la produzione tradizionale dovette per forza di cose tramontare. Ancora oggi Ezio Corsetti, quando gli viene chiesto, produce un po’ di pece… non quella nera ma quella bionda; si può produrre direttamente con la resina di abete, con un paiolo, un fornello, un sacco di juta e poco altro; come sia più agevole questo procedimento lo capiamo da come Ezio ci risponde quando glielo chiediamo, ohhh… esclama ridendo. Tutta la famiglia di Ezio Corsetti oggi conosce il suo passato di peciaiolo, segno di come l’importanza e l’impronta che questo mestiere ha lasciato nella sua vita ha superato il tempo, ed è qualcosa che nessuna tecnica industriale costringerà a mettere da parte.

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Ezio Corsetti assieme alla moglie, mentre producono la pece.

Fotografia del 1995 di Ezio Tranquillini (Mori)

 

 

  

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Quello che resta del forno di Ezio Corsetti in località Costa Piana - Tiarno di Sopra